Dott.ssa Raffaella Brangi - Biologa Nutrizionista Torino
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La dieta vegetariana

4/1/2017

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Da tempo diversi studi epidemiologici hanno dimostrato la stretta correlazione tra “occidentalizzazione della dieta” ed insorgenza di patologie cronico degenerative e cardiovascolari.
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Partendo dal presupposto che, nel contesto di uno stile di vita sano e di una dieta bilanciata, non si può prescindere dall'incoraggiare ad adottare un modello di “dieta mediterranea”, così detta “plant-based”, che segue, in modo attento, i canoni ed principi dettati dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e che esso rappresententa un modello di riferimento si può considerare che, soprattutto negli ultimi tempi, a fronte anche degli oramai noti aspetti benefici sulla salute in generale, sempre più diffusa è la completa scelta “vegetariana o vegana” che si basa su motivazioni oltre che salutistiche anche etiche ed ambientali.

Per definizione, la dieta vegetariana esclude il consumo di tutti i tipi di “animal flesh” (cioè tutti i tipi di carne come, ad esempio, quella bovina e suina, il pollame, la selvaggina, i pesci e tutte le specie acquatiche); sono ovviamente esclusi anche tutti i prodotti di trasformazione industriale (come insaccati, patè e sushi).
Più precisamente, il modello latto-ovo vegetariano esclude tutti i tipi di carne includendo, invece, latte e derivati (formaggi e latticini), uova, miele ed un’ampia varietà di tutti i gruppi di alimenti vegetali.

Il modello vegano esclude tutti i tipi di carne, latte e derivati (formaggi e latticini), uova e miele, consumando invece un’ampia varietà di alimenti vegetali.

Considerando che il profilo nutrizionale di questi due principali modelli dietetici può presentare un’estrema variabilità individuale in dipendenza al tipo e alla quantità di alimenti vegetali consumati ed al loro grado di trasformazione, si comprende che una dieta vegetariana o vegana è un’ottima scelta solo se ben fatta e programmata.

Secondo le più recenti linee guida internazionali, la USDA (United States Department of Agricolture), l’American Dietetic Association e la SSNV (Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana), le diete vegetariane infatti sono ampiamente in grado di soddisfare le raccomandazioni di nutrienti indicate per la popolazione.

Nella programmazione di una dieta vegetariana è necessario soddisfare il fabbisogno energetico individuale, facendo particolare attenzione alla biodisponibilità e all’adeguatezza nutrizionale di particolari nutrienti che possono essere potenzialmente critici in questo tipo di dieta (proteine ad alto valore biologico, vitamina B12, ferro, zinco, calcio, vitamina D ed omega-3).

A tale scopo è necessario consumare un’ampia varietà di cibi vegetali, favorendone la complementarietà e ricordando che le principali fonti:
  1. proteiche sono contenute in legumi, frutta secca, soia e derivati come tofu, tempeh ed hamburger vegetali;
  2. di ferro sono contenute in legumi, cereali fortificati da colazione, insalate e radicchi verdi, frutta disidratata (albicocche, prugne, uva sultanina);
  3. di calcio sono contenute in cereali da colazione, bevande fortificate (succhi di frutta), bevande a base di soia e cereali, verdure scure e a foglia (a basso contenuto di ossalati);
  4. di zinco sono contenute in legumi, cereali fortificati per la colazione (semi di zucca e germe di grano), latte e derivati;
  5. di vitamina B12 sono contenute in latte e derivati, uova ecibi addizionati come cereali da colazione, bevande vegetali e hamburger vegetali;
  6. di omega-3 sono contenute in cibi fortificati, olio di semi di lino, olio di semi di soia e noci sgusciate;
  7. di vitamina D sono contenute in cibi fortificati, non tralasciando l’importante quota endogena prodotta dal nostro stesso organismo con l’esposizione al sole.

Si può concludere, quindi, che una dieta vegetariana o vegana, seguita in modo consapevole, programmato e attento rappresenta allora una valida alternativa alimentare alla canonica dieta mediterranea. 

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Educazione al cibo nella prima infanzia

26/1/2016

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Le preferenze alimentari nella primissima infanzia, si caratterizzano per la predominante influenza di fattori biologici, genetici e costituzionali nonché da variabili individuali. Ciò porta il bambino ad avere un orientamento preferenziale al gusto dolce, in opposizione all'amaro e al salato, garantendo attraverso questa scelta innata un adeguato intake nutrizionale attraverso l'assunzione del latte materno.

Nei primi quattro anni di vita, si sviluppano i quattro gusti fondamentali: dolce, amaro e salato. Attraverso una serie di segnali, sono attivati gli organi di senso che agiscono secondo una precisa sequenza funzionale; traduzione (ricezione del segnale dal mondo esterno), trasmissione (trasferimento dell'informazione al cervello) ed integrazione (identificazione ed immagazzinamento dello stimolo e segnale esterno).

Accanto a questi fattori endogeni però, come sempre, svolge un ruolo di primaria importanza il rapporto madre-bambino che si costituisce attraverso l'allattamento nei primi mesi, sia al seno che artificiale, e con lo svezzamento nei successivi. 

L'allattamento e la nutrizione del bambino nei primi mesi di vita, infatti, rappresenta non solo una necessità alimentare nella sua più stretta accezione ma un più ampio e complesso momento di incontro e scambio tra madre e bambino.

L'alimentazione in età pediatrica e, soprattutto nel primo anno di vita, risulta essere strettamente correlato al futuro stato di salute dell'adulto.

Un periodo critico è rappresentato dallo svezzamento, momento in cui avviene il passaggio all'alimentazione semisolida e successivamente solida. Costituisce una vera e propria tappa di sviluppo e di crescita per il bambino ma anche di criticità per i genitori che si trovano spesso un po' disorientati a far fronte ai primi rifiuti.

La complessità di questo processo dipende da diversi aspettI; passaggio graduale a cibi e consistenze diverse rispetto al latte, accesso a gusti nuovi come l'amaro ed il salato, sviluppo della masticazione e della deglutizione, progressiva autonomizzazione della capacità di nutrirsi.

Terminato il divezzamento, poi, sono le abitudini alimentari dei genitori che influenzano in maniera importante le scelte alimentari del bambino.

Secondo recenti studi, infatti, è proprio la famiglia che determina l'avversione o la preferenza del bambino per determinati cibi anche in età adulta. In particolare, si stima che circa l'85% delle mamme assume mai o raramente cibi non graditi ed il 68% di loro non propone mai, o raramente, ai propri figli cibi che essi non gradiscono.

Tali risultati dimostrano l'opportunità di fornire ai genitori supporti adeguati per la gestione dell'alimentazione del bambino.

È anzitutto con il proprio esempio che un genitore riuscirà a proporre al figlio un'alimentazione varia ed equilibrata, controllando la disponibilità e l'accessibilità del cibo a casa.

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Alcool: abuso ed effetti sull'organismo

20/11/2015

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Il consumo di bevande alcoliche risale agli albori della civiltà ed è parte integrante della cultura mediterranea ed europea come simbolo di convivialità e sacralità. Si pensi al culto di Dioniso o ai racconti della Bibbia che attribuisce al patriarca Noè la prima ubriacatura della storia.

Da sempre, studi scientifici esaltano da un lato le virtù associate al buon vino, che se usato con moderazione rappresenta addirittura un fattore preventivo delle patologie cardiovascolari, dall'altro sempre più studi mettono in evidenza i potenziali rischi legati al suo abuso. Il discorso è ovviamente incentrato non sul vino in sé, di cui l'Italia ha il vanto di essere uno dei primi produttori al mondo, ma sull'uso e abuso soprattutto di superalcolici.

Nell'ultimo decennio, numerosi dati epidemiologici, come evidenziato dall'Istituto Superiore della Sanità, mettono in luce come l'uso di bevande alcoliche sia aumentato soprattutto tra i giovani.
La diffusione dei danni alcol correlati rappresenta uno dei più pressanti problemi di salute pubblica nei paesi occidentali.
Due aspetti destano particolare allarme: l'abbassamento dell'età di primo uso e l'aumento di donne bevitrici.
La facile disponibilità, la diffusa accettazione sociale ed i profondi cambiamenti degli stili di vita possono portare ad un ben definito "binge drinking" con comportamenti a rischio.
Secondo l'Istituto Superiore di Sanità, i comportamenti a rischio sono dichiarati dal 18,9% della popolazione totale e nella fascia di età 11-17 anni dal 23,3% dei ragazzi ed dal 14% delle ragazze. I consumi di alcol fuori pasto nella fascia di età 18-24 anni sono poi aumentati negli ultimi anni dal 33,7% al 41,9%. Secondo le stime, diminuisce il divario uomini donne con un abuso di bevande alcoliche che coinvolge sempre più anche la popolazione femminile. Questi dati confermano quelli già evidenziati nel 2005 dall'European Monitoring Center for Drugs and Drugs Addiction che descriveva il fenomeno come "narrowing of the gap"  riduzione del divario ragazzi/ragazze. Tutto questo ovviamente si correla ad un aumento di patologie quali depressione e disordini alimentari, definiti nell'insieme come EDNOS (Eating Disorders Not Otherwise Specified). Evidenze cliniche dimostrano come, a parità di alcol ingerito, le donne hanno una concentrazione ematica di alcol nettamente superiore (3-4 volte) a quella maschile. Questo è dovuto fisiologicamente ad una minore capacità per le donne di metabolizzare l'alcol a fronte di una differente attività enzimatica ed ormonale.
L'alcol non è un nutriente al pari di proteine, carboidrati e lipidi, il suo valore energetico è di 7 Kcal/g e non svolge, a differenza di vitamine ed oligoelementi, funzioni plastiche o regolatorie di processi metabolici. La velocità di assorbimento  dell'alcol è elevata e sembra aumentare linearmente con il contenuto alcolico delle bevande fino ad un limite massimo per valori del 20-30%, al di sopra dei quali prevale l'azione irritante della mucosa intestinale. L'alcol etilico è completamente miscibile in acqua e supera agevolmente, per semplice diffusione passiva, sia la barriera digestiva che quella ematoencefalica; questo spiega l' estrema sensibilità del Sistema Nervoso Centrale (SNC).
A livello dell'apparato gastroenterico, la bocca, l'esofago e lo stomaco sono i più esposti all'azione tossica dell'etanolo per contatto diretto. Può essere lesa poi la mucosa dell'intestino tenue, con conseguente alterazione della motilità e relativa sindrome da malassorbimento con carenze nutritive per deficit di vitamine quali tiamina B1, piridossina B6, vitamina A ed acido folico.
Il metabolismo dell'alcol etilico si svolge principalmente a livello epatico, attraverso la via dell'alcol deidrogenasi (ADH), del Microsomal Ethanol Oxidizing System (MEOS) e della catalasi. Queste producono sostanze ad azione tossica che se iperstimolate spiegano i danni funzionali e strutturali anche gravi a livello epatico e di altri organi che possono insorgere.

Un consumo moderato e consapevole, perciò, è fondamentale per evitare l'insorgere di dannose dipendenze.
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Idratazione e bilancio idrico

16/8/2015

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L'acqua è l'alimento più abbondante ed è indispensabile per l'organismo. È il principale componente del corpo umano e rappresenta circa il 55-60% del peso corporeo di un adulto e circa il 75% del peso di un neonato.

Sorgente di vita e di benessere, l'acqua ricopre circa i 5/7 della superficie terrestre e dal punto di vista chimico è l'unico composto che in natura è presente allo stato liquido, solido e gassoso.

L'acqua è necessaria per le reazioni biochimiche che avvengono nel nostro organismo, per la regolazione della temperatura corporea, per l'eliminazione di minerali e sostanze organiche, per la digestione, l'assorbimento, trasporto ed utilizzazione dei nutrienti.

Il bilancio idrico è il rapporto tra i volumi d'acqua in entrata e in uscita dall'organismo, un rapporto che deve essere costantemente mantenuto in equilibrio. Attraverso le urine, le feci, la sudorazione e la respirazione, infatti, il nostro copro elimina continuamente acqua che deve essere reintegrata. Se il bilancio idrico non è rispettato si possono avere tutti i sintomi che comunemente sono legati alla disidratazione: secchezza orale, cefalea, irritabilità, insonnia, astenia.
Perdite superiori al 10% sono incompatibili con la vita. Il centro della sete, che si trova nella regione ipotalamica del nostro cervello, regola questo complesso meccanismo, il cui equilibrio dipende dalla corretta funzionalità renale per l'eliminazione controllata di acqua ed elettroliti e da un sistema di recettori nervosi che segnalano all'organismo la necessità di assumere acqua attraverso lo stimolo della sete. Questo insorge tutte le volte che il volume totale dell'acqua nell'organismo diminuisce dell'1-2%. Spesso, però, ci si accorge di essere assetati solo quando la perdita di acqua è già stata tale da provocare i primi effetti negativi. Meglio, quindi, tentare di anticipare il senso della sete o provvedere subitamente.

Il fabbisogno di acqua per adulti e anziani è di 1 ml di acqua per ogni kilocaloria alimentare introdotta durante la giornata. Ciò corrisponde ai raccomandati 6/8 bicchieri di acqua al giorno, circa 1,5-2litri. I bambini che sono a maggior rischio di disidratazione hanno necessità di quantità maggiori, circa 1,5 ml/kcal/giorno. L'acqua, comunque, ricordiamo che è già contenuta in molti alimenti come latte, frutta e verdura. Con l'avanzare dell'età, poi, il tenore idrico dell'organismo diminuisce a causa della minore capacità di ritenzione dei tessuti e la capacità di risposta del centro della sete diventa meno pronta, di conseguenza aumenta il rischio di disidratazione.
Assumere liquidi durante l'esercizio fisico promuove un'adeguata idratazione, infatti, è noto che una riduzione del 5% del peso corporeo con la sudorazione compromette la performance fisica (M. Gleeson et al. 1996). La rapidità di assimilazione da parte dell'organismo in questi casi è fondamentale per bilanciare prontamente le perdite, per tale motivo, la bevanda da usare prima o durante l'attività sportiva dovrebbe avere le seguenti caratteristiche: minima permanenza nello stomaco, rapido assorbimento. Si consiglia una bevanda ipotonica, una con eccessiva concentrazione di zuccheri o sali disciolti avrebbe, infatti, l'inconveniente di "fermarsi" a lungo nello stomaco, rallentando l'assorbimento dell'acqua da parte dell'organismo. Una soluzione adatta deve avere una percentuale di zuccheri intorno al 4-5% e una minima quantità di elettroliti (sodio 10-20 mEq/l pari a circa un grammo di cloruro di sodio/L). Tra gli zuccheri Fruttosio e Maltodestrine risultano essere più indicate a prevenire un aumento di insulina con conseguente ipoglicemia durante la performance. Questo è particolarmente indicato per chi pratica attività moderata o ad alta intensità di un'ora o più.

L'acqua è alla base anche della dieta mediterranea che, ancora una volta, risulta essere ideale per promuovere uno stato di salute e di benessere. Il consumo di ortaggi e frutta nelle quantità di quattro o cinque porzioni al giorno, infatti, già garantisce un discreto apporto idrico. Data l'importanza dell'acqua nell'alimentazione umana, l'Associazione Italiana Dietetica e Nutrizione Clinica nel 2011 ha proposto la piramide dell'idratazione suggerita per la popolazione italiana adulta.

E allora ricordiamoci di bere un bicchiere di acqua in più soprattutto in questo periodo dell'anno.

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Diabete gestazionale

1/6/2015

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Il diabete Mellito Gestazionale, o GDM (Gestational Diabetes Mellitus), è un'alterazione del metabolismo dei carboidrati con vario grado e severità, che può insorgere durante la gravidanza  nel secondo e terzo trimestre.
In questo periodo, oltre ad una serie di cambiamenti fisici e fisiologici, si instaura nella madre una condizione di insulino-resistenza dovuta alla maggiore produzione dell'ormone lattogeno placentare, di estrogeni, progesterone ed altri ormoni controregolatori (cortisolo, catecolamine e GH).

Il profilo glicemico delle gestanti affette da GDM è caratterizzato da valori bassi di glicemia durante il digiuno e picchi nel periodo post-prandiale. In questa fase, l'iperglicemia non trattata provoca il passaggio attraverso la placenta di un'elevata quantità di glucosio, stimolando nel feto una maggiore produzione di insulina. Questa condizione può causare una serie di complicanze anche per il feto.

Subito dopo il parto, i valori glicemici della madre ritornano normali. Tuttavia, resta rilevante il rischio, in seguito, di manifestare alterazioni metaboliche come diabete mellito di tipo 2 e sindrome metabolica. L'incidenza di questa patologia, secondo dati epidemiologici italiani, é di circa il 6,2% (Società Italiana di Diabetologia SID) è cresciuta considerevolmente negli ultimi dieci anni, con maggiore prevalenza nelle donne con più di 35 anni. È ormai noto come obesità e un non corretto stile di vita, assieme ad una serie di concause predisponenti, siano i principali fattori di rischio.

Anche in gravidanza perciò una moderata attività fisica ed un'alimentazione bilanciata sono tra i principali fattori di prevenzione. Varie strategie possono essere utilizzate a tale scopo. L'Associazione dei Ginecologi Americani, ad esempio, raccomanda alle gestanti di praticare esercizio fisico aerobico di moderata intensità tre volte a settimana per almeno 30 minuti. Dal punto di vista strettamente alimentare, invece, è necessario garantire un'adeguata alimentazione, controllando l'incremento ponderale durante la gravidanza. A tal proposito l'Institute of Medicine (IOM) ha fissato le ultime linee guida riguardo l'aumento di peso raccomandato in gravidanza.

La dieta deve essere idonea e bilanciata, sostituendo cibi grassi e ad alta densità calorica con frutta e verdure che danno senso di sazietà. Per ridurre le oscillazioni glicemiche e ridurre il senso di fame, è consigliato frazionare i pasti durante il giorno in tre principali e due spuntini.
In generale, ogni spuntino dovrà contenere una quantità pari a 6-9% di carboidrati totali, mentre ciascuno dei pasti principali dovrà corrispondere a circa il 35% della quota glucidica totale.
È importante che la maggior parte dei carboidrati introdotti siano rappresentati da carboidrati complessi e a basso indice glicemico, con una  particolare attenzione alle fibre vegetali.
A tale scopo è consigliabile il consumo di cereali integrali, legumi, ortaggi e frutta fresca, anche per garantire un corretto apporto di vitamine e sali minerali.
Nei pasti principali è importante inserire anche alimenti ricchi di proteine ad alto valore biologico, come carne, pesce, uova e formaggi in modo da garantire il corretto accrescimento fetale.

Imparare a moderare le porzioni, avendo consapevolezza degli alimenti consumati, mangiare più lentamente evitando di leggere o guardare la tv durante i pasti, possono essere alla base di una rieducazione alimentare da perseguire durante questa particolare condizione fisiologica ed anche in futuro.


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Steatosi epatica

25/3/2015

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La steatosi epatica non alcolica (NAFLD Non-Alcoholic Fatty Disease) è una condizione patologica caratterizzata dall'accumulo di lipidi nel fegato. 
Generalmente questa si manifesta in concomitanza di un'altra serie di patologie, quali insulino-resistenza, diabete di tipo 2, obesità o dislipidemie ed altri disordini metabolici. La severità della patologia può variare dalla semplice asintomatica steatosi, alla più grave forma di steatoepatite, la NASH (Non-Alcoholic SteatoHepatitis), che può evolvere in fibrosi o cirrosi epatica.  Allo stato attuale si stima che circa il 10-35% della popolazione mondiale ne sia affetto. Nonostante l'aumentata prevalenza della patologia nei Paesi Occidentali osservata negli ultimi 10-15 anni, i meccanismi molecolari che controllano la sua progressione sono, però, purtroppo ancora largamente incompresi.

Come è noto la NAFLD è la conseguenza di un disequilibrio tra le diverse vie metaboliche coinvolte nella sintesi, nella degradazione e nella secrezione dei lipidi dal fegato. 
Gli acidi grassi che si accumulano a livello epatico possono derivare dalla lipolisi dei trigliceridi del tessuto adiposo, dalla sintesi de novo, o direttamente dalla dieta. Una dieta ricca di fibre ed a basso contenuto di grassi saturi, associata ad può dì attività fisica rappresenta perciò il primo fattore di prevenzione. Un valido aiuto è fornito poi, dagli acidi grassi polinsaturi (PUFA) della serie omega-3 ed omega-6 presenti in numerosi fonti alimentari come pesce azzurro, semi e frutta oleosa. I PUFA infatti intervengono nel modulare la sintesi de novo degli acidi grassi nel fegato. In particolare è stato ampiamente dimostrato che gli omega-3 come l'acido eicosapentaenoico e decosaesaenoico, contenuti nell'olio di pesce, sono in grado di esercitare un ruolo benefico nella prevenzione delle dislipidemie e quindi nelle patologie legate all'accumulo di grassi. 
Recentemente numerosi studi hanno messo in evidenzia l'efficacia, come aiuto nel trattamento della steatosi e della sindrome metabolica, anche dell'olio di krill. Si tratta di un olio ricco in omega-3 estratto da piccoli invertebrati marini appartenenti alla specie Euphasia superba che compongono lo zooplancton antartico, anello alla base della catena alimentare marina. 

Alla base di tutto in ogni caso, come prevenzione primaria, c'è sempre un'alimentazione equilibrata ed un sano stile di vita. Una dieta base, che possa ridurre il peso del 5-10% se obesi, associata a tre/sei ore di sport a settimana aiuta  a normalizzare le transaminasi. 

I maggiori errori alimentari riguardano l'assunzione di bibite dolci, gasate ed alcoliche, molte carni rosse e cibi grassi.

Bisognerebbe, invece, seguire i principi della "dieta mediterranea" arricchendo la propria tavola di prodotti integrali ricchi in fibre, scegliere di ridurre i grassi saturi a favore dei mono e polinsaturi contenuti nell'olio extravergine di oliva, nel pesce azzurro, e nella frutta oleosa. Scegliere metodi di cottura semplici e poco elaborati.

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L'insonnia

6/3/2015

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L'insonnia è un problematica che è frequente nella vita di molte persone. Un riposo scarso o insoddisfacente, come sappiamo, si ripercuote negativamente sull'attività giornaliera, sul nostro umore e sul nostro stile di vita.

Il comportamento assunto durante le ore diurne ed in particolare nelle ore che precedono l'ora di coricarsi, può influenzare in modo determinante la qualità del sonno. Vi sono dei fattori ambientali e dei comportamenti, che fisiologicamente favoriscono un buon riposo. La maggior parte di questi possono facilmente essere messi in atto, evitando così  il peggioramento e la cronicizzazione dei disturbi legati all'insonnia. Il rispetto di tali consuetudini, dovrebbe però essere costante nel tempo.

Alcune norme riguardano strettamente il luogo in cui dormiamo, altre riguardano le nostre abitudini alimentari ed il nostro stile di vita.

Sono da evitare ad esempio ambienti troppo caldi o troppo rumorosi e non sufficientemente bui. Bisognerebbe evitare l'utilizzo di computer o tablet prima di andare a dormire, in quanto la luce molto intensa emessa da questi dispositivi, inibisce l'insorgere del sonno.
Non è consigliato l'esercizio fisico intenso dopo cena, mentre è consigliabile nel tardo pomeriggio, meglio se seguito anche da un bagno caldo prima di cena. Molto utile è poi concentrare la fascia oraria di riposo tra le 22 e le 7 del mattino, mantenendo orari del sonno regolari e costanti, favorendo così il naturale ritmo circadiano.
Soggetti particolarmente sensibili, non dovrebbero assumere, sia di giorno che in particolare nelle ore serali,  bevande a base di caffeina e simili come caffè, tè, cioccolata, guaranà e bevande energetiche.
Caffeina e sostanze analoghe esercitano, infatti, a livello dei centri nervosi (tronco dell'encefalo e corteccia cerebrale), un'attività eccitante e quindi risvegliante.
Da evitare il tabacco, anche la nicotina ha effetti eccitanti sul sistema nervoso centrale. Il fumo, inoltre, ha effetti irritanti e congestionanti sulle vie respiratorie, favorendo quindi la comparsa di disturbi respiratori con conseguenti risvegli. Non andrebbero assunte bevande alcoliche nelle ore serali. L'alcol di per sé è un sedativo, ma la sua azione è rapida e svanisce velocemente. Dopo essersi addormentati, il sistema nervoso centrale entra, come avviene nelle "sindromi da astinenza", in uno stato di relativa "ipereccitabilità" e questo può comportare un sonno non regolare durante la notte.
Un eccesso ponderale, inoltre, è una delle cause determinanti delle così dette "apnee notturne". Pasti serali abbondanti non favoriscono la qualità del sonno. Cibi ricchi di grassi rallentano la digestione, provocando senso di pesantezza e possono essere anche causa di cefalea.
Utile un bel bicchiere di latte magro caldo prima di andare a dormire. Il triptofano, aminoacido essenziale in esso contenuto in buone quantità, entra infatti nella biosintesi della serotonina e della melatonina, neurotrasmettitori che hanno un ruolo determinate nella regolazione del ciclo sonno-veglia. Uno studio recente presentato all'Experimental Biology 2014 di San Diego, ha evidenziato anche, che bere regolarmente del succo concentrato di Amarena permetterebbe di dormire circa un'ora e mezza in più al giorno. L'effetto sembrerebbe legato proprio all'elevato contenuto di melatonina del frutto ma non solo. Il concentrato di Amarena, infatti, contiene anche quantità significative di proantocianidine (sottogruppo di polifenoli ad alta attività  antiossidante e riducente dello stress) e sostanze fitochimiche efficaci nell'inibire proprio la degradazione del triptofano.
Ulteriore aiuto ci viene infine dalle piante. È nota l'azione dei fiori di camomilla, della melissa e della valeriana. Utili anche i semi di Giuggiolo, Ziziphus spinosa, la cui azione inducente il sonno, dovuta alle saponine triperpeniche e flavonoidi tra cui la suvertisina, è da tempo conosciuta dalla medicina cinese.

Abituiamoci allora a non fare pasti abbondanti a sera, a mantenere uno stile di vita sano e buon sonno a tutti!

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La celiachia

23/11/2014

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La malattia celiaca (MC) è un'enteropatia immunomediata che si manifesta in soggetti predisposti a seguito dell'ingestione del glutine (Husby et al. 2012), complesso di proteine di riserva contenuto in alcuni cereali quali frumento, segale, orzo, farro.... .

L'ingestione di alimenti contenenti glutine, determina in tali pazienti una risposta immunitaria abnorme a livello dell'intestino tenue, che comporta un danneggiamento dei villi della mucosa intestinale con conseguente di malassorbimento di alcuni nutrienti.

La malattia celiaca si manifesta con quadri clinici spesso non molto chiari fin dall'inizio. La forma tipica esordisce solitamente nei primi 6-24 mesi di vita, a seguito dell'introduzione dei cereali con il divezzamento. I sintomi evidenti sono principalmente gastrointestinali ed includono forme di diarrea cronica, inappetenza, dolori addominali ricorrenti. A questi seguono alterazioni ematochimiche spesso non così evidenti dovute al malassorbimento, quali scarso incremento ponderale o perdita di peso, anemia, edemi, alterazioni della coagulazione, deficit di vitamine ed oligoelementi.

Attualmente l'incidenza della malattia celiaca è stimata intorno all'1%, sia in età pediatrica che in età adulta, con valori più elevati in Europa occidentale, nel Nord America e in Austarlia (Mustalathi 2010).

L'unica terapia ad oggi disponibile è la totale esclusione dalla dieta di alimenti contenenti glutine.  Un miglioramento della sintomatologia, generalmente si ottiene dopo 1-2 settimane di dieta priva di glutine e nello stesso periodo si assiste ad una ricostruzione delle cellule epiteliali intestinali. A distanza di circa un mese si ha una ripresa delle funzioni assorbitive. 

Seguire un'alimentazione priva di glutine richiede molto rigore ed è favorita oggi, dalla presenza di una vasta gamma di prodotti gluten-free presenti in commercio. Spesso però si è attratti da prodotti ipercalorici, ricchi di grassi saturi e zuccheri semplici.
Per tale motivo si può verificare un paradosso: nei pazineti con celiachia, una rigorosa dieta senza glutine può diventare un fattore di rischio per le patologie cronico-degenerative legate all'obesità, alle problematiche cardiovascolari ed al diabete mellito.

Il consiglio pertanto è di adottare una cucina semplice prediligendo ricette da fare a casa, limitando  tutti i prodotti da forno, gli snack, i cibi e le bevande ricche di zuccheri. Come si sa, è possibile fare in casa pane, torte salate e dolci squisiti, utilizzando le svariate farine senza glutine. Per citarne solo alcune, quella di riso, di mais e di grano saraceno, utilizzando per addensare amido di mais, amido di riso e fecola di patate.

Un po' di tempo in più da passare in cucina, con un pizzico di attività fisica giornaliera, servirà sicuramente a coccolare il proprio palato e la propria linea!
 


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La sindrome metabolica

19/6/2014

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Una corretta alimentazione è fondamentale nella terapia delle malattie metaboliche e nella prevenzione di quelle cardiovascolari.

Se un tempo obesità, dislipidemia, ipertensione arteriosa e diabete erano considerate e trattate separatamente, oggi le si considera manifestazioni di un'unica condizione clinica alla quale si dà il nome complessivo di Sindrome Metabolica (National Cholesterol Education Program; Adult Treatment - Panel III NCEP- ATP III; 2001-2005).

Si é in presenza di Sindrome Metabolica se sono presenti almeno tre dei seguenti fattori di rischio: 
  1. Circonferenza vita (obesità) > 102 cm per gli uomini e > 88cm per le donne;
  2. Trigliceridi (lipidi)  > 150 mg/dl;
  3. HDL  < 40 mg/dl per gli uomini e < 50 mg/dl per le donne;
  4. Glucosio > 100 mg/dl
  5. Pressione arteriosa >130/85 mmHg
In questo caso, il primo intervento terapeutico che viene intrapreso è  quello dietetico; talvolta, questo, risulta tanto efficace nel correggere le alterazioni metaboliche da evitare la terapia farmacologica. 
 
Studi epidemiologici suggeriscono cha l'aggregazione tra i vari fattori di rischio determini un fattore di rischio moltiplicativo, maggiore cioè alla somma dei singoli fattori di rischio coesistenti. 

Alla luce di queste premesse, è evidente che la prevenzione della Sindrome Metabolica e delle sue complicanze andrà attuata innanzitutto mediante la riduzione dell'obesità, in particolare del grasso viscerale e centrale, che condiziona il  miglioramento e, a volte, anche la completa normalizzazione di tutte le alterazioni che caratterizzano la Sindrome Metabolica.
Ciò può essere ottenuto associando ad una regolare attività fisica, diete moderatamente ipocaloriche, a basso contenuto di grassi animali, zuccheri semplici e ricche di fibre vegetali.


 


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Functional food (alimenti funzionali)

5/5/2014

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Basta leggere un giornale di salute e benessere, o seguire un semplice programma di cucina alla TV, per essere catturati dalla miriade di informazioni che ci arrivano sulle esaltanti virtù di alcuni alimenti che la natura ci offre e che quotidianamente ritroviamo sulle nostre tavole. 
 
In particolare, si parla tanto oggi di "cibi funzionali", ovvero alimenti o suoi componenti, di cui è stata dimostrata la capacità di ottenere un effetto benefico su una o più funzioni del nostro organismo, portando ad un miglioramento dello stato di salute e di benessere.

Gli alimenti funzionali non sono integrazioni dietetiche e dimostrano i loro effetti nelle quantità in cui vengono normalmente consumati con la dieta abituale. Un alimento funzionale può essere, inoltre, per legge, un alimento naturale oppure un alimento in cui un componente è stato aggiunto o eliminato, aumentato o ridotto rispetto alle quantità originariamente presente, modificato mediante processi tecnologici o aumentata la biodisponibilità. L'alimento funzionale, infine, non modifica le proprie caratteristiche organolettiche rispetto agli analoghi alimenti naturali. 

I componenti che possono venire impiegati per formulare un prodotto funzionale possono essere numerosi: antiossidanti (flavonoidi, carotenoidi, licopene, polifenoli,ecc.), fibre vegetali, sali minerali, probiotici, prebiotici, fitosteroli, grassi polinsaturi omega 3. Gli scopi sono molteplici: ad esempio rafforzare le difese immunitarie, migliorare le funzioni intestinali, rallentare
l'invecchiamento cellulare, proteggere dalle patologie cardiovascolari.

Il Giappone ha il merito di aver lanciato il concetto di "cibo funzionale" con la messa in commercio del primo soft drink arricchito di fibra.

In commercio possiamo trovare:
  • il pomodoro, il pompelmo rosa, l'anguria; naturalmente ricchi di licopene ad azione antiossidante;
  • i legumi, ed in particolare la soia, che contengono isoflavoni utili in menopausa;
  • frutta e verdura ad alto contenuto di carotenoidi (carote, zucca, peperoni, melone, albicocche..) che intervengono nel potenziare le difese immunitarie, proteggono dai danni solari e dalle principali patologie cardiovascolari e neoplastiche;
  • prodotti lattiero caseari (es.yogurt, latti, bevande al latte) che mediante l'azione di batteri selezionati (probiotici) e/o di sostanze in grado di promuovere la crescita di specifici gruppi di batteri (prebiotici) regolano la funzionalità intestinale;
  • margarine, yogurt, bevande a base di latti addizionati di steroli vegetali (o fitosteroli) sostanze che si sono dimostrate utili nel ridurre i valori di colesterolo plasmatico;
  • il succo d'uva e numerose spezie ed aromi come erba cipollina, cipolle, aglio, che contengono polifenoli sostanze antiossidanti che intervengono nel ridurre il richio cardiovascolare.

E' importante ricordare che in ogni caso anche un "cibo funzionale" va sempre associato ad uno stile di vita attivo ed inserito all'interno di una dieta sana ed equilibrata.




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