L’intolleranza al lattosio è un deficit enzimatico che racchiude l’insieme dei sintomi che insorgono a causa della carenza dell’enzima lattasi (beta-D-galattosidasi).
Il lattosio è il principale zucchero del latte prodotto dai mammiferi ed è un disaccaride composto da due monomeri D-glucosio e D galattosio uniti da un legame beta (1-4) glicosidico. L’enzima lattasi ha il compito di scindere questo legame e idrolizzare il lattosio nei due zuccheri semplici glucosio e galattosio, monosaccaridi che solo in questo modo possono essere assorbiti al livello intestinale.
L’uomo ha iniziato ad introdurre nella sua alimentazione il latte vaccino a partire dalla “rivoluzione neolitica” con l’inizio dell’agricoltura e quindi circa 10.000 anni fa. In questo periodo l’uomo ha abbandonato la vita nomade basata prevalentemente sulla caccia e sulla raccolta, per formare con altri individui insediamenti stabili basati su pratiche agricole. E’ molto probabile che fino a quel momento l’uomo fosse geneticamente privo dell’enzima lattasi. Con l’inserimento del latte vaccino nell’alimentazione umana e a seguito di una mutazione genetica, alcuni individui si sono dotati di lattasi ed hanno acquisito la capacità di digerire bene il latte vaccino.
L’intolleranza al lattosio è molto comune nella popolazione mondiale e non vi sono significative differenze di incidenza fra i due sessi. Studi condotti su vasti campioni di popolazione in diverse zone del pianeta hanno evidenziato una maggiore frequenza di deficit da lattasi in età adulta nelle aree geografiche a minor consumo di latte e, parallelamente, una minore incidenza dell’intolleranza tra le popolazioni ove il consumo di latte è maggiore e prosegue anche oltre l’età infantile. Negli Stati Uniti ne è affetto circa il 22% della popolazione. In nord Europa la prevalenza è molto bassa (solo il 5% degli individui). Nell’Europa centrale è circa il 30 %, mentre nell’Europa del sud e nella fascia equatoriale si registra la prevalenza maggiore (circa il 70%). Tali differenze geografiche sono dovute molto probabilmente anche al fatto che il flusso migratorio che ha portato le popolazioni a spostarsi dall’Africa all’Europa, dove la pastorizia era più diffusa, è avvenuto in un periodo antecedente a quello della mutazione enzimatica.
I sintomi dovuti alla intolleranza al lattosio sono di natura gastrointestinale: gonfiore e tensione addominale, flatulenza, crampi e dolori addominali diffusi sono i sintomi più frequenti.
Il gene della lattasi è situato sul cromosoma 2, dagli studi condotti non sono state evidenziate significative differenze nel DNA di soggetti che presentano diversi livelli di attività dell’enzima. Differenze significative sono state invece riscontrate nella regione di regolazione dell’attività del gene responsabile della biosintesi della lattasi e quindi in varianti alleliche in grado di rendere più o meno efficiente la sua trascrizione in RNA messaggero. Altri studi dimostrano poi che esistono vari livelli di modulazione dell’ espressione dell’attività dell’enzima anche nelle diverse età.
E’ stato visto infatti che, l’attività della lattasi aumenta a partire dal terzo trimestre di vita fetale per diventare massima al termine della gravidanza. Questo è il motivo per cui neonati pretermine presentano attività lattasica meno efficiente. Il deficit di lattasi nell’adulto sembra insorgere nella gran parte dei casi quindi come conseguenza della fisiologica iporegolazione dell’attività enzimatica. Diverso il discorso è invece per quella che viene indicata come carenza congenita primaria di lattasi (CLD) che a differenza della più frequente intolleranza al lattosio rappresenta un disordine genetico autosomico recessivo molto raro e che comporta la totale assenza di espressione dell’enzima già dall’età neonatale. Questo si manifesta nel neonato con forte diarrea, disidratazione anche grave associata a perdita di peso.
I tempi con cui i sintomi dell’intolleranza al lattosio insorgono variano da una a poche ore dall’ingestione di alimenti contenenti lo zucchero. Il disaccaride non idrolizzato non può essere assorbito a livello del tenue e così il lattosio non digerito passa lo sfintere ileo-cecale e giunge nel colon. A contatto con la flora batterica il lattosio viene sottoposto ad un processo di fermentazione i cui intermedi sono acidi grassi a catena corta, idrogeno, anidride carbonica e metano, responsabili dei disturbi gastrointestinali. Essendo poi una sostanza osmoticamente attiva, il lattosio richiama nel colon acqua impedendo la formazione di feci solide.
In questi casi è opportuno eliminare dalla propria dieta cibi contenenti lattosio per un certo periodo di tempo e reinserirli successivamente in modo graduale verificandone la dose di tolleranza. Non esiste una dose-soglia valida per tutti, ma una tolleranza allo zucchero del tutto soggettiva. L’entità del deficit produttivo si manifesta infatti quando la quantità di lattosio assunta supera la capacità metabolica dell’organismo. Lo yogurt ad esempio presenta un contenuto di lattosio molto ridotto, poiché quest’ultimo è in gran parte utilizzato come substrato dai lattobacilli fermentativi, e quindi spesso ben tollerato.
Tra gli alimenti che contengono lattosio ricordiamo: latte intero, scremato o parzialmente scremato; latte in polvere o condensato; panna; ricotta, latticini e formaggi spalmabili; gelati e bevande a base di latte come frappè; in minori quantità yogurt, formaggi stagionati, alcuni salumi, alimenti contenenti siero di latte, salse e sughi pronti, cereali da colazione, merendine, budini, pane al latte e altri prodotti da forno. E’ consentito invece il consumo se ben tollerato di latte e formaggi speciali ad alta digeribilità, pasta e poi riso e tutti gli altri cereali, verdura, frutta, carne, pesce, pane e prodotti da forno che ne sono privi, dolci e creme senza latte, tutte le bevande vegetali.
Nel caso ci sia la necessità di eliminare il lattosio dalla propria dieta il suggerimento è però di considerare l’insorgere nel tempo di eventuali carenze nutrizionali di calcio, vit D e vit B12, di cui il latte e i suoi derivati sono ricchi. Pertanto non è sufficiente eliminare dalla propria dieta gli alimenti che lo contengono, ma ricercare e consumare con regolarità quelli che più si adattano alle esigenze personali e che rappresentano fonti alternative di questi nutrienti (es. bevande vegetali addizionate, se ben tollerati alcuni formaggi stagionati, carni, uova e frutta secca, acqua con un buon contenuto di calcio).
Il lattosio è il principale zucchero del latte prodotto dai mammiferi ed è un disaccaride composto da due monomeri D-glucosio e D galattosio uniti da un legame beta (1-4) glicosidico. L’enzima lattasi ha il compito di scindere questo legame e idrolizzare il lattosio nei due zuccheri semplici glucosio e galattosio, monosaccaridi che solo in questo modo possono essere assorbiti al livello intestinale.
L’uomo ha iniziato ad introdurre nella sua alimentazione il latte vaccino a partire dalla “rivoluzione neolitica” con l’inizio dell’agricoltura e quindi circa 10.000 anni fa. In questo periodo l’uomo ha abbandonato la vita nomade basata prevalentemente sulla caccia e sulla raccolta, per formare con altri individui insediamenti stabili basati su pratiche agricole. E’ molto probabile che fino a quel momento l’uomo fosse geneticamente privo dell’enzima lattasi. Con l’inserimento del latte vaccino nell’alimentazione umana e a seguito di una mutazione genetica, alcuni individui si sono dotati di lattasi ed hanno acquisito la capacità di digerire bene il latte vaccino.
L’intolleranza al lattosio è molto comune nella popolazione mondiale e non vi sono significative differenze di incidenza fra i due sessi. Studi condotti su vasti campioni di popolazione in diverse zone del pianeta hanno evidenziato una maggiore frequenza di deficit da lattasi in età adulta nelle aree geografiche a minor consumo di latte e, parallelamente, una minore incidenza dell’intolleranza tra le popolazioni ove il consumo di latte è maggiore e prosegue anche oltre l’età infantile. Negli Stati Uniti ne è affetto circa il 22% della popolazione. In nord Europa la prevalenza è molto bassa (solo il 5% degli individui). Nell’Europa centrale è circa il 30 %, mentre nell’Europa del sud e nella fascia equatoriale si registra la prevalenza maggiore (circa il 70%). Tali differenze geografiche sono dovute molto probabilmente anche al fatto che il flusso migratorio che ha portato le popolazioni a spostarsi dall’Africa all’Europa, dove la pastorizia era più diffusa, è avvenuto in un periodo antecedente a quello della mutazione enzimatica.
I sintomi dovuti alla intolleranza al lattosio sono di natura gastrointestinale: gonfiore e tensione addominale, flatulenza, crampi e dolori addominali diffusi sono i sintomi più frequenti.
Il gene della lattasi è situato sul cromosoma 2, dagli studi condotti non sono state evidenziate significative differenze nel DNA di soggetti che presentano diversi livelli di attività dell’enzima. Differenze significative sono state invece riscontrate nella regione di regolazione dell’attività del gene responsabile della biosintesi della lattasi e quindi in varianti alleliche in grado di rendere più o meno efficiente la sua trascrizione in RNA messaggero. Altri studi dimostrano poi che esistono vari livelli di modulazione dell’ espressione dell’attività dell’enzima anche nelle diverse età.
E’ stato visto infatti che, l’attività della lattasi aumenta a partire dal terzo trimestre di vita fetale per diventare massima al termine della gravidanza. Questo è il motivo per cui neonati pretermine presentano attività lattasica meno efficiente. Il deficit di lattasi nell’adulto sembra insorgere nella gran parte dei casi quindi come conseguenza della fisiologica iporegolazione dell’attività enzimatica. Diverso il discorso è invece per quella che viene indicata come carenza congenita primaria di lattasi (CLD) che a differenza della più frequente intolleranza al lattosio rappresenta un disordine genetico autosomico recessivo molto raro e che comporta la totale assenza di espressione dell’enzima già dall’età neonatale. Questo si manifesta nel neonato con forte diarrea, disidratazione anche grave associata a perdita di peso.
I tempi con cui i sintomi dell’intolleranza al lattosio insorgono variano da una a poche ore dall’ingestione di alimenti contenenti lo zucchero. Il disaccaride non idrolizzato non può essere assorbito a livello del tenue e così il lattosio non digerito passa lo sfintere ileo-cecale e giunge nel colon. A contatto con la flora batterica il lattosio viene sottoposto ad un processo di fermentazione i cui intermedi sono acidi grassi a catena corta, idrogeno, anidride carbonica e metano, responsabili dei disturbi gastrointestinali. Essendo poi una sostanza osmoticamente attiva, il lattosio richiama nel colon acqua impedendo la formazione di feci solide.
In questi casi è opportuno eliminare dalla propria dieta cibi contenenti lattosio per un certo periodo di tempo e reinserirli successivamente in modo graduale verificandone la dose di tolleranza. Non esiste una dose-soglia valida per tutti, ma una tolleranza allo zucchero del tutto soggettiva. L’entità del deficit produttivo si manifesta infatti quando la quantità di lattosio assunta supera la capacità metabolica dell’organismo. Lo yogurt ad esempio presenta un contenuto di lattosio molto ridotto, poiché quest’ultimo è in gran parte utilizzato come substrato dai lattobacilli fermentativi, e quindi spesso ben tollerato.
Tra gli alimenti che contengono lattosio ricordiamo: latte intero, scremato o parzialmente scremato; latte in polvere o condensato; panna; ricotta, latticini e formaggi spalmabili; gelati e bevande a base di latte come frappè; in minori quantità yogurt, formaggi stagionati, alcuni salumi, alimenti contenenti siero di latte, salse e sughi pronti, cereali da colazione, merendine, budini, pane al latte e altri prodotti da forno. E’ consentito invece il consumo se ben tollerato di latte e formaggi speciali ad alta digeribilità, pasta e poi riso e tutti gli altri cereali, verdura, frutta, carne, pesce, pane e prodotti da forno che ne sono privi, dolci e creme senza latte, tutte le bevande vegetali.
Nel caso ci sia la necessità di eliminare il lattosio dalla propria dieta il suggerimento è però di considerare l’insorgere nel tempo di eventuali carenze nutrizionali di calcio, vit D e vit B12, di cui il latte e i suoi derivati sono ricchi. Pertanto non è sufficiente eliminare dalla propria dieta gli alimenti che lo contengono, ma ricercare e consumare con regolarità quelli che più si adattano alle esigenze personali e che rappresentano fonti alternative di questi nutrienti (es. bevande vegetali addizionate, se ben tollerati alcuni formaggi stagionati, carni, uova e frutta secca, acqua con un buon contenuto di calcio).